Siamo gomme deformabili che si fanno lavorare e ridicolizzare dalle prime mani che passano.
Dimostriamo arrendevolezza nei confronti di qualsiasi agente esterno che decida di prepararci, deformarci, piegarci, offenderci, farci male.
Noi e l’arte, suppongo, siamo la presa in giro della nostra immagine, calchi generici da disorganizzare che aspettano accuse impersonali e se le prendono tutte, senza sfondi biografici che attenuino l’anonimato avvalendosi di precedenti ragguardevoli che, a quanto pare, non si fanno vivi.
Che forse proprio non ci sono, considerata la loro risposta lisergica, la tonalità allucinogena che sviluppa soltanto un’assenza monocroma alle nostre spalle.
E decidiamoci a smetterlo, quel risolino compiaciuto che soddisfa appena le proprie illusioni, che è convinto di potersi vantare del suo lavoretto giornaliero o che si sente orgoglioso di decantare la visita all’ennesima mostra di un artista internazionalmente acclamato che, come tanti suoi colleghi, asseconda i bisogni di un pubblico sciupato ma contento, predisposto ad essere preso per il culo da ogni immagine che riesca a farlo sentire appena vivo.
L’arte di insultare l’arte e l’uomo – direbbe Schopenhauer – tramite ingiurie e impertinenze esplicite che dovrebbero obbligare gli intelletti implicati a comprenderne il ruolo di extrema ratio alla quale si è voluti giungere.
Stefano Elena
Opere
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