Luca Bertasso è un giovane artista controcorrente e forse solo per questo meriterebbe l’attenzione della critica. Controcorrente non soltanto perché sceglie come media privilegiato la pittura che da tempo rappresenta un linguaggio sempre più desueto tra le cosiddette nuove generazioni. Ma perché, per quanti sforzi si possano fare, è ben difficile riconoscere nel lavoro di Luca quei caratteri linguistici e tematici che contraddistinguono la cosiddetta nuova pittura. Quella, per intenderci, in cui siamo abituati a imbatterci nelle gallerie di pittura e nelle fiere d’arte. Anzi, verrebbe da dire che il primo istinto, entrando nel suo studio, ci porterebbe ad esclamare, come di fronte a un primitivista di fine ‘800: “Ma dove è vissuto costui fino ad oggi? Da quale periferia esotica o dell’iperuranio attinge la sua estetica infantile e un po’ naif ma al contempo così carica di archetipi? E poi, di quali archetipi stiamo parlando?”. Come nella decifrazione di qualunque enigma, perché di enigma sia ben chiaro si parla, è opportuno procedere empiricamente e dunque per gradi. Nella fattispecie, occorre anzitutto sfatare il primo equivoco, e cioè quello dello stile. Accostarsi al lavoro di Luca secondo parametri meramente stilistici sarebbe un grave errore, primo perché si correrebbe il rischio di incappare in qualche anacronismo, e poi perché resteremmo spiazzati sul piano poetico e narrativo. È invece fondamentale resistere al canto delle sirene dei suoi colori sfavillanti e del disegno ossessivamente elementare per rendersi conto che si è ben lungi, con Luca, da una “pittura-pittura” e men che meno l’artista può essere comunemente catalogabile tra i “figurativi”.
Di fatto, Luca utilizza semplicemente tela e pennelli (ma potrebbe servirsi di qualunque altro mezzo, come la fotografia, il video o gli oggetti) con lo scopo di “vestire l’idea in forma percettibile”, per usare un’espressione del poeta Jean Moreas nel suo Manifesto dei Simbolisti nel 1886. Rapportarsi a Luca e al suo universo artistico nella consapevolezza di trattare con un simbolista del ventunesimo secolo è il primo passo necessario per riconoscere il valore e la contemporaneità del linguaggio che dà vita alle composizioni. Caratteristica comune a tutti i simbolisti della storia, anche le complesse narrazioni di Luca (meglio narrazioni che “dipinti”) non aspirano mai a rappresentare le apparenze ma ad esprimere “l’Idea”, con l’immaginario a giocare perennemente un ruolo dominante.