Giancarlino Benedetti Corcos
La pittura di Giancarlino Benedetti Corcos si colloca senza dubbio lungo la scia della breccia liberatoria aperta dalla transavanguardia con i suoi empiti pittorici ed intrecci stilistici tra figurazione ed astrazione, tra geometria ed ornamentazione in un flusso di immagini cariche di erotismo e di energia vitale. In questo caso la vitalità è il portato di un’opera che si impenna tra mille tensioni, con accenni descrittivi e sostanze cromatiche che hanno la forza tesa di un’emozione pura.
La radice linguistica che governa la costruzione dell’immagine è l’espressionismo, fatto di abbreviazioni ed esasperazioni formali portatori di un colore che corre diritto al cuore più che al cervello. I quadri di Benedetti Corcos infatti più che guardati vanno ascoltati. Colti nella loro frantumazione e concitazione, nella collisione delle forme che paradossalmente non sono mai aggressive, se pure forti e squillanti nella loro esibita simmetria. Spesso lo spazio viene scandito secondo sequenze che cercano una sorta di inquadratura dentro cui l’immagine irradia la sua energia vitale, l’essere il frutto di una emozione diretta, la conseguente emanazione di un sentimento di scorrevolezza e di un attraversamento di ogni codice figurativo.
Naturalmente l’espressionismo, in questo caso, viene abitato da un spirito meno nordico e più vicino alle declinazioni date dalla scuola romana, in particolare Scipione da cui Benedetti riesce a trarre l’empito cromatico e la svelta collocazione delle figure nello spazio pittorico.
Achille Bonito Oliva
Without a doubt the paintings by Giancarlino Benedetti Corcos can be traced to be liberating breach that transavanguardia opened with its pictorial impulses and stylistic crossovers between figurative and abstract, between geometry and ornamentation in the flux of images loaded with eroticism and vital energy. In the case, vitality is represented by the work that rises out of a thousand tensions, with descriptive hints and chromatic substance having the tense force of pure emotion. The linguistic root governing the image construction is expressionism made of formal abbreviations and exasperations – the carriers of colour that reaches directly to the heart rather than to the brain. In fact, Benedetti Corcos’ paintings should be listened to rather than only watched, captured as they are in their shattering and tribulation, in the collision of forms that paradoxically are never aggressive while being strong and screaming in their evident symmetry.
Often space is articulated according to the sequences probing for a sort of a frame within which the image emits its vital energy, its being the product of direct emotion. It emanates a sentiment of fluidity, of crossing every figurative code.
Naturally, the expressionism is in the case inhabited by a spirit which is not so much Nordic as it is standing nearer to the inclinations imparted by the Roman school, particularly by Scipione from whom Benedetti manages to derive chromatic impulse and lively distribution of figures in pictorial space.
Achille Bonito Oliva
Le sarabande pittoresche di Giancarlino
Le opere di Giancarlino Benedetti Corcos ancora una volta dimostrano la libertà del fare di cui l’artista è capace. Fare apparentemente disorganico, volutamente “maldestro”. Ma non dategli retta, anche se vi doveste abbandonare con gli occhi alla sgradevole sensazione che le opere vi suggeriscono, lasciatelo fare. Giancarlino sogna storie, ideogrammi, scritture notturne che trova lungo i percorsi del buio e, perché no, della luce. Le storie che racconta sono dipinte di parole, di vertiginosi balli, di sarabande tragiche alcune volte, ma pur sempre pentagrammate e “dolorosamente pittoresche“ come le avrebbe definite il “gran lombardo“ gaddus.
E’ cronaca profonda, fatta di abissi improvvisi che si depositano sui materiali che Giancarlino ha già recuperato, sapendo dove trovarli. ed è anche questo ritrovamento che affascina: paraventi di tela grezza che serviva a nascondere qualcosa o qualcuno, telai di legno da imballaggio, carta colorata di crespo abbandonata da qualche presepe o da qualche vaso di celebrazioni fastose. Tutto è fasto e tutto è il contrario: eredità perdute durante traslochi notturni. Le parole sulla carta disegnano serialmente profezie, racconti frenetici del segno che diventano colore. E’ il divenire delle cose, in fondo, che affascina Giancarlino.
Il tono delle opere quando si rimpicciolisce si fa intonaco; quando si espande, nella dilatazione forsennata sconcerta l’altrui “equilibrio“, proprio come Giancarlino vuole. Non c’è nulla di celato, comunque vadano le cose. Non c’è nulla dii artificioso. Non c’è neanche quel lontanissimo sapore “ruffiano“ che tanto sta a cuore ai suoi coevi. Almeno ad alcuni. La storia della pittura per lui non ha segreti. La favola, checché se ne possa dire, anche quella antropologicamente più intrigante, gli è stata svelata dal segno e dal colore.
La notte senza meno; e poi il giorno quando pensa al proprio automatismo che gli scapperà dalle dita delle mani sempre in movimento assieme all’idea della pittura raccontata. Anche questa volta nell’installazione c’è la dimensione dell’antimuseo, del dizionario dell’opera all’interno di un personalissimo progetto antimuseale, più vasto e sempre più magnificamente delirante. Museo difficile da accantonare, non foss’altro perché Giancarlino lo “pensa“ raccontandolo per strada, per i vicoli, per le piazze barocche. Barocco lo è forse anche lui. Frammenta sulle opere le iscrizioni, le diciture dei monumenti, le parole sui muri, i panneggi delle frasi della musica del Seicento. Vive e lavora nel e per il barocco. Anche quando cita i segni dell’oriente. Se di oriente si può parlare, conoscendo Giancarlino. Quand’anche fosse, il colore è indefessamente “romano“ e gli scrosci di parole sono veicolati sulla carta, sulla tela, dagli intonaci di Trastevere e piazza Campo de’ Fiori. Una macchia è tutto per Giancarlino. Macchia di colore che trasuda la storia. Mezzatinta che schiude il temporale già preannunciato dal segno che dimora dietro, al di là dell’opera.
E poi questa “libertà“ di Giancarlino, non è pretestuosa ma conquistata, attraverso i sacrifici che la conquista del segno comporta. La conquista del segno/colore è legata ai percorsi personali che disciplinano il “mestiere dell’artista“, il proprio porsi dinanzi ai problemi della comunicazione, sembra dire il pittore, ma poi come scantonando recupera il “già fatto2 per investirlo di “altri“ significati. Ed ecco spiegato perché Giancarlino Benedetti Corcos è a dir poco un’avanguardia artistica pura.
Enrico Gallian